categories

Nuovi prodotti

Nuovi prodotti
Tutti i nuovi prodottinavigate_next
Mahvash Sabet, Poesie dalla prigione

Mahvash Sabet, Poesie dalla prigione

Nata a Teheran nel 1953, Mahvash Sabet è diventata famosa a livello internazionale dopo che un volume di poesie scritte da lei nel carcere di massima sicurezza di Evin fu pubblicato in inglese con il titolo “Prison Poems”, che nel 2017 le valse il titolo di scrittore internazionale di coraggio per PEN International.

 

Sabet è una reclusa di coscienza. Insieme ad altri sei membri di un consiglio informale di intellettuali noto come ‘Yaran’ (dall’arabo, Amici), è stata arrestata, interrogata e torturata ripetutamente a causa della sua appartenenza alla Fede bahá'í, che la Repubblica islamica dell'Iran considera religione eretica.

 

Le sue convinzioni bahá'í sulla pace, l'altruismo e l'umanità sono state determinanti per la sua resilienza in prigione. Ma Mahvash ha contato anche su altro: la poesia. «La scrittura», dice, «è diventata un mezzo di sopravvivenza».

 

L’autrice scarabocchiava le sue parole su tovaglioli e asciugamani di carta, che infilava nelle tasche e nelle borsette durante le preziose visite di “contatto” con i familiari. Le parole che riusciva a far uscire dal carcere descrivevano un luogo desolante, che non poteva però spezzare il suo coraggio e la sua determinazione.

 

Liberata dopo avere scontato dieci lunghi anni di carcere, nel novembre 2022, nel corso di azioni sempre più violente e repressive da parte delle autorità iraniane, con la collega Fariba Kamalabadì, che aveva trascorso con lei i primi dieci anni dietro le sbarre, viene nuovamente condannata ad ulteriori dieci anni di reclusione. Incarcerandola una seconda volta, il regime tenta in ogni modo di oscurare la sua immagine.

 

Poesia dalla Prigione, già edito da Del Verri Editore nel 2017 con testo iraniano a fronte, esce oggi per i tipi della Casa Editrice Bahá’í. Mostrare il volto della poetessa nella copertina del volume è una scelta fortemente voluta. Mentre il governo iraniano tenta in ogni modo di oscurare la luce della scrittrice, l’editore intende porre l’attenzione del mondo sul volto di questa donna coraggiosa, prigioniera ma libera, che il regime degli ayatollah è intenzionato con ogni mezzo a oscurare e soffocare sotto le imposizioni dell’hijab.

 

Adattate dal persiano da Bahiyyih Nakhjavani, autrice del romanzo “La donna che leggeva troppo” (Rizzoli), le sue poesie testimoniano il coraggio e la disperazione, la miseria e le speranze di migliaia di iraniani che lottano per sopravvivere in condizioni di estrema oppressione.

 

Scrivere ha permesso a Mahvash di parlare quando le parole erano negate e nessuno l’ascoltava. Ma, a differenza di molte poesie scritte in carcere, le sue non sono solo un catalogo di speranze e paure. A volte sono un mezzo di documentazione storica; altre offrono una carrellata di ritratti di donne intrappolate come lei dietro alle sbarre; altre ancora sono meditazioni sull'impotenza e sulla solitudine.

 

I componimenti di Mahvash Sabet sono carichi di fascino e ardenti di speranza e rappresentano un simbolo di resilienza e coraggio. La sua poesia si leva libera dall’Iran, attraversato da mesi da un potente moto di ribellione popolare che ha il volto di tante ragazze e ragazzi, e dà voce a migliaia di persone: donne, giornalisti, attivisti, difensori dei diritti umani, studenti.

 

Una voce che si leva non solo per la comunità bahá'í dell'Iran, da decenni oggetto di una durissima campagna di oppressione ed eradicazione, ma per tutte le vittime barbaramente uccise, oppresse e arbitrariamente detenute in nome di una teocrazia e di un governo totalitarista che continua sistematicamente a violare i diritti e le libertà fondamentali della persona.

Ph. Bahá'í World New Service