Come di consueto, anche quest’anno, la redazione di Opinioni bahá’í ha il piacere di presentavi gli atti del quattordicesimo Convegno annuale dell’Associazione Italiana per gli Studi Bahá’í “Alessandro Bausani”, intitolato Flussi migratori e identità in cambiamento. Il Convegno 2016 dell’Associazione esamina un tema che caratterizza in modo significativo la nostra epoca e invita, con urgenza, a una serie di riflessioni e azioni che dovranno guidarci a raggiungere difficili ed inevitabili traguardi di sviluppo e di maturità dei popoli e delle nazioni del mondo.
La necessità di porre la questione identitaria al centro delle considerazioni, auspicata dal Direttivo dell’Associazione, ha orientato i lavori del convegno verso alcune considerazioni riguardanti la necessità di un cambio di prospettiva per poter essere “portatori” di un nuovo pensiero inclusivo e non esclusivo, unitario e non settario, propositivo e non destrutturato, possibilista e non catastrofista. Così da essere costruttori di una nuova cultura che possa rispondere alle esigenze del tempo, un tempo caratterizzato dalla certezza che la terra è un solo paese e l’umanità i suoi cittadini.
La prima relatrice del Convegno, Clelia Bartoli docente di Diritti umani presso l'Università di Palermo e coordinatrice insieme a Fulvio Vassallo della CLEDU - Clinica legale per i diritti umani, ha iniziato la sua relazione con un ribaltamento concettuale, in quanto la sua prima azione è stata una domanda rivolta al pubblico: “In una stima approssimativa, quanti immigrati, legali e non, pensate siano presenti in Italia?” Le risposte dei partecipanti sono state svariate e differenti tra loro. Questo primo assunto porta a sondare le origini delle convinzioni comuni in merito al tema e a provare a guardare alla realtà da un’altra prospettiva. La teoria esposta dalla professoressa Bartoli ha messo in evidenza, con precise informazioni, la possibilità di pensare alla questione dell’immigrazione come ad una risorsa e non una piaga. Le risorse umane, oggi sfruttate e mercificate da organizzazioni criminali, se tutelate dalla protezione della legge e gestite come persone e non come “merci” possono rivelarsi una fonte di ricchezza sia materiale sia umana. Pensiamo al denaro raccolto per affrontare i viaggi illegali, alle capacità “imprenditoriali” delle persone desiderose di costruire una nuova vita altrove, alla forza lavoro intesa come energia, alle tasse che lo Stato potrebbe incassare dal lavoro autorizzato e infine al contributo culturale che individui provenienti da diverse parti del mondo potrebbero offrire alla costruzione di una società virtuosa e ricca. Spesso siamo portati dai media e dal pensiero comune a considerare il mondo privo di risorse energetiche ed economiche quando invece le risorse sono tali solo grazie all’ingegno e alle capacità intellettuali e creative dell’uomo, diversamente restano sepolte e mai utilizzate. Sappiamo per certo che esistono ancora molte risorse inutilizzate della terra che potrebbero ampliamente risolvere le disparità esistenti nel mondo.
Le cause dell’immigrazione di “massa” sono molteplici e forse sono quelle più conosciute ma non è lecito separarle dagli interessi esclusivisti e l’attitudine ipocrita dei paesi europei, e non solo, nei confronti di molti degli stati dai quali provengono le persone che cercano asilo. Clelia Bartoli nelle sue analisi inverte la problematica in opportunità, pur non banalizzandone le complessità e le difficoltà, offrendo un punto di vista alternativo capace di guardare alla realtà con una visione inclusiva e legale piuttosto che con la rassegnazione all’inevitabilità del conflitto. È certo che tutti noi possiamo invertire nella dinamica relativa all’immigrazione solo se prima strutturiamo e adottiamo un pensiero differente da quello attuale … dobbiamo pensare diversamente per agire diversamente ed essere promotori del cambiamento.
Quali sono le dinamiche legate al cambiamento individuale e collettivo che caratterizzano gli esseri umani oggi? A questa domanda risponde Giansecondo Mazzoli, psicoterapeuta, analista didatta della Società Italiana di Psicologia Individuale che ha offerto ai partecipanti del Convegno un approccio specifico sulla modalità con la quale si forma l’identità dell’individuo. Partendo dai processi emotivi e cognitivi del bambino che cresce e si struttura nel contesto famigliare, per poi inserirsi nella cultura del luogo di appartenenza e infine attraverso le scelte consapevoli e inconsapevoli che è chiamato ad affrontare per agire ed essere autonomo. In quale modo l’individuo si riconosce in un gruppo o in una comunità, in quale misura è significativa l’accettazione dell’altro al proprio essere, quanto è vitale o problematico il confronto con gli altri. Queste sono le considerazioni sottoposte dal relatore alla riflessione dei presenti, per sottolineare che ogni cambiamento di status, sociale o individuale, porta con sé questi riallineamenti che costituiscono l’identità singola e collettiva dei popoli. Con chi ci identifichiamo quando sentiamo parlare delle problematiche dell’immigrazione? Con le vittime o con i “carnefici”? Siamo immediatamente portati a identificarci con la parte debole, ma siamo certi, in realtà, di non appartenere alla parte dominante? Le risposte a questi quesiti ci orientano verso la costruzione di un’identità di un “tipo” o di un altro. La proposta di Giansecondo Mazzoli, attinta dai Testi bahá’í, è quella di pensare e figurare, in un futuro, nell’immaginario singolo e collettivo un’identità caratterizzata dall’unità nella diversità, il fondamento sul quale si sviluppa il messaggio rivelato da Bahá’u’lláh. Le sovrastrutture culturali che i popoli d’Europa vivono tutt’ora nel quotidiano, il senso di superiorità, la classificazione razziale, il dominio intellettuale maschile, le convinzioni scientifiche di gran parte del Novecento, sono tutti retaggi impressi nell’uomo contemporaneo. Abdu’l-Bahá, nel suo viaggio dalla Palestina all’Europa e nei suoi discorsi pubblici, tenuti in diverse capitali europee affronta direttamente la questione razziale legata alla dinamica dell’immigrazione e della cittadinanza mondiale. Egli sostiene il principio di cittadinanza mondiale e la necessità di legalizzare lo status di tutti i popoli in virtù di una struttura mondiale che preveda organizzazioni nazionali e internazionali nelle quali tutti i popoli abbiano pari diritti e dignità. Mazzoli nella sua relazione al Convegno invita a meditare su un’affermazione di Abdu’l-Bahá che dice: “… gli amati del Signore devono considerare le persone maldisposte come bendisposte… Cioè, devono associarsi ai nemici come farebbero con un amico e trattare gli oppressori come tratterebbero un compagno gentile.” Ecco il cambiamento della mentalità richiesto per costruire una nuova identità e per permettere all’umanità di salire un gradino sulla scala del progresso che caratterizza il suo percorso verso la crescita e la maturità. Il “gradino” è fondamentalmente di natura etica e spirituale e può trarre ispirazione e nutrimento dal contributo che la religione offre all’essere umano, permettendogli di emanciparsi e vivere in unità e armonia. L’unità nella diversità è la meta da raggiungere e la strada da percorrere e può avverarsi se tutti gli esseri umani godranno delle stesse opportunità e conserveranno le proprie peculiarità culturali nel contesto di un’identità molteplice ma unica e inclusiva.
Tre vissuti a confronto hanno arricchito la linea teorica proposta dai due relatori precedenti offrendo delle esperienze pratiche e dirette provenienti da paesi in conflitto e vittime di violenti cambiamenti, la Tunisia e l’Iraq, e da una regione coinvolta in prima linea sul fronte della prima accoglienza e della gestione dell’emergenza: la Sicilia. Carlo Giordano, docente di arabo all’Università di Palermo e mediatore culturale nelle operazioni di primo soccorso al porto di Palermo ci ha raccontato di una Sicilia diversa dal solito cliché della mafia che esprime i valori concreti dell’accoglienza. In seguito alla sua lunga esperienza in Libia, fino alla caduta del regime di Gheddafi, Carlo ha deciso di mettere al servizio degli altri la sua lunga carriera di studio e di farla fruttare per aiutare le persone di lingua araba al loro difficile arrivo in Italia, dimostrando così che lo studio non è una mera attività concettuale fine a sé stessa bensì una ricchezza al servizio dell’umanità. L’esempio dei volontari in Sicilia ha portato alla luce le qualità che ciascun individuo deve avere per poter vivere in maniera degna in un mondo che sempre più accoglie il “diverso” e ha sottolineato la realtà di un’identità culturale collettiva che cambia attraverso questo scambio forzato tra chi accoglie e chi arriva, formando un nuovo senso di comunità allargata e diversificata.
Di un paese martoriato da più di 12 anni di guerra, “invaso” da varie forze, civili e militari, estere, occidentali e arabe, che sta cercando faticosamente di costruire una nuova società e una nuova nazione, anche con l’aiuto di diverse organizzazioni internazionali, ci ha parlato Arona Roshanian. Lei ha lavorato per diversi anni in Iraq per le Nazioni Unite e nello specifico per lo UNDP (United Nations Development Programme) - occupandosi prevalentemente di paesi del Medio Oriente e Nord Africa in situazione di crisi e post-conflitto - in particolare Iraq ed Egitto - dove ha seguito vari progetti a sostegno dello sviluppo del settore privato quale agente di crescita sia economica che sociale. Seguendo sin da piccola il proprio desiderio di lavorare nell'ambito internazionale e con i paesi in via di sviluppo, in seguito a varie esperienze presso organizzazioni nazionali e internazionali, il Ministero dell'economia italiano, l’OCSE, le Nazioni Unite e recentemente in Togo, West Africa, ha sperimentato con grande coraggio cosa significa vivere e lavorare direttamente in paesi afflitti dalla guerra e dall’instabilità. Nonostante i limiti e in alcuni casi le finalità non sempre nobili dell’operato delle organizzazioni internazionali, governative e non, Arona ha ribadito il contributo intellettuale e concreto che la visione internazionale e sovranazionale offre al mondo contemporaneo. Ragionare e agire in un’ottica internazionale, andando oltre agli interessi delle singole nazioni e cooperando tra stati, è una conquista dell’umanità di oggi che non si è mai realizzata in passato e accende una luce di speranza sul futuro dei popoli. Così l’identità cambia e si forma attraverso una visione globale del mondo e dei suoi problemi, costituendo un nuovo ordine mondiale che veda nella sua sicurezza e prosperità la trasformazione delle istituzioni, attraverso le quali siano garantiti i diritti di tutti nella piena espressione delle diversità.
Il contributo del singolo è sempre alla base di ogni cambiamento. Nel 2010 un uomo compie un gesto folle e disperato, si da letteralmente fuoco per protestare contro il governo di Ben Ali, presidente della Tunisia, e accende quella che poi, con grandi speranze, sarà definita la “primavera araba”. Alessandra Bonezzi ci ha raccontato che il singolo può fare la differenza e può essere protagonista. Consulente, formatrice e facilitatrice interculturale, negli ultimi 8 anni ha vissuto in Tunisia dove ha lavorato per diverse agenzie internazionali per lo sviluppo, fondazioni internazionali, ONG, università e aziende private. Alessandra ha raccontato dell’esperienza di vivere in un paese che nell’arco di pochissimi anni ha visto il susseguirsi dei cambiamenti epocali, con una rapidità senza precedenti, e ha, nonostante tutte le difficoltà, riscritto la sua costituzione inserendo la libertà di credo in un contesto di matrice islamica. Proprio per questo motivo e per altri, la Tunisia vive una condizione di isolamento politico e contemporaneamente di attacco da parte degli estremisti. In queste condizioni Alessandra ha comunque avuto il coraggio di investire in prima persona e aprire un’attività volta alla formazione professionale, con l’intento di creare le condizioni affinché i tunisini possano essere autonomi nelle proprie attività lavorative e non dover dipendere dagli aiuti esteri.
In ciascuna di queste esperienze il cambiamento identitario è necessario, inevitabile e sempre reciproco. Ciascuno modifica con la propria presenza l’identità altrui e ne viene altrettanto modificato creandone ciò che è il frutto dello sforzo di tutti.
Una voce più forte ma più silente ha scosso le coscienze di tutti i partecipanti al Convegno. Quella espressa nelle poesie scritte nella prigione di Evin, a Tehran, da Mahvash Sabet, una dei sette leader della Comunità bahá’í iraniana in prigione dal 2008, unicamente a causa del suo credo religioso. Versi scritti in un remoto carcere ma capaci di smuovere le emozioni di chiunque in ogni luogo, Poesia dalla prigione, recentemente tradotti da Faezeh Mardani e Julio Savi e pubblicati dalle edizioni “Il Verri”, sono stati presentati in un’atmosfera di grande empatia e intensità durante l’ultima sessione del Convegno dell’Associazione studi bahá’í.
Il convegno si è concluso con uno concerto musicale che ha permesso a tutti i partecipanti di innalzare le proprie anime e riempire i cuori con la bellezza della musica. Antonino Siringo, pianista e compositore jazz e di musica colta contemporanea, oltre che interprete dei grandi classici presso l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, ha presentato un suo personale omaggio, African flower, al tema dell’immigrazione con la partecipazione di Carlo Strazzante, percussionista belga di origine siciliana, regalando a tutti una fusione di suoni occidentali e orientali.
La terra è un solo paese e l’umanità i suoi cittadini, affermata da Bahá’u’lláh più di un secolo e mezzo fa, oggi è una possibilità per ciascuno di noi pensarlo e realizzarlo.