Poiché nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende.
Bahá’u’lláh (1817-1892), fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ha spronato l’umanità a superare le barriere che si era imposta durante la sua evoluzione dallo stato primitivo a modelli più evoluti. Lo scopo dei Suoi insegnamenti è di giungere a riconoscere la sostanziale unità del genere umano e pervenire quindi a un’organizzazione mondiale pacifica basata su principi di reciproco rispetto, tolleranza e convivenza armoniosa. Gli insegnamenti bahá’í incoraggiano, inoltre, a tenere di massimo conto la cultura e le sue espressioni artistiche perché sono un veicolo per il superamento dei pregiudizi e l’applicazione del principio di unità nella diversità.
Indubbiamente la storia contemporanea offre alla società problemi di non facile soluzione poiché i modelli di relazione fra i popoli del mondo in generale e quelli mediterranei, in particolare e con riferimento a quanto è più vicino a noi, non offrono soluzioni percorribili se non con un netto superamento delle ottiche nazionalistiche. La situazione internazionale è quindi particolarmente drammatica a causa della mancanza di una visione unitaria anche se continuamente invocata. Certamente i paesi e i popoli situati alle due estremità del Mediterraneo hanno sempre avuto due livelli di relazione: uno è pacifico, legato allo scambio commerciale e culturale, all’esportazione di valori di civiltà quali la cultura, la lingua, le scienze teoriche e applicate, le concezioni religiose e l’altro è fatto di lotte per la supremazia sul mare e sulla terra con motivazioni per lo più egemoni ed economiche. La politica, espressione della mentalità dei popoli, non è ancora adeguata a dare delle risposte valide per modificare questa situazione. La miopia imperialista di potenze europee ha creato nel Vicino Oriente stati concettualmente inesistenti nella storia, le cui ricchezze minerarie suscitano appetiti e compromessi che non contemplano il destino delle popolazioni.
Quando si parla di cultura e di letteratura, potremmo trovare una via di conoscenza vitale per la soluzione di questi problemi. Gli scrittori, a qualunque titolo, raccontano e parlano di queste vicende e ci raccontano esperienze che rinnovano il ricordo di prove già vissute anche da noi europei nel corso del Novecento. Sono storie che uniscono alla disperazione la speranza del vivere quotidiano, la ricerca di una giustizia che tarda ed essere prestata e che trova mille giustificazioni alla sua inadempienza perché non ci sono leggi, non ci sono trattati, non ci sono impronte digitali, non ci sono passaporti o carte d’identità, per coprire la vera mancanza: quella della coscienza. Un dizionario, nel riportare la voce «coscienza», chiarisce che essa indica il momento della presenza alla mente della realtà oggettiva e sulla quale, interviene la "consapevolezza" che le dà senso e significato. L’etimologia latina ci spiega che il termine viene da conscire, cioè "essere consapevole, conoscere" e indica la consapevolezza che la persona ha di sé e dei propri contenuti mentali. La consapevolezza è perciò un atteggiamento mentale che è assente in buona parte di noi e che dobbiamo riconquistare. Essa sarà la via per una nuova mentalità che produrrà una moderna politica per soluzioni concrete ai disastri contemporanei provocati da una visione materialista e liberista della società. Il frutto principale della letteratura sia essa un romanzo, una raccolta di poesie, un diario, un trattato di storia, un articolo di giornale, o qualsiasi altra cosa che ci trasmetta non solo l’informazione ma anche il contenuto e l’invito a riflettere, consiste nella maturazione di una visione unitaria del mondo che, oltrepassando mode New-Age o pseudo-spiritualiste, inizi a costruire rapporti efficaci e solidi fra i popoli. La letteratura che ha un aspetto dinamico, perché specchio del passato/presente è anche anticipatrice di quello che accadrà in futuro. Essa produce images, visioni cioè dell’alterità che non sempre corrispondono alla realtà oggettiva bensì sono rappresentazioni soggettive che sono acquisite dalla maggior parte dei lettori. Tali images costituiscono perciò il modo di percepire e apprezzare o denigrare la diversità altrui creando anche dei pregiudizi, che nell’ambito letterario sono chiamati mirages, alla base dei conflitti oggi esistenti. La letteratura, insieme alle altre importanti realizzazioni dello spirito umano, può riuscire ad abbattere queste barriere. Lo studioso di origine belga Hugo Dyserinck , fondatore della scuola di Aquisgrana, sostiene che il modo in cui si vedono i popoli rimanda a caratteri nazionali che esistono solo in quanto costruzioni ideologiche e che l’immagine sostituisce la realtà, predominando su di essa. Dyserinck scrive a questo proposito: «Da qui, ad esempio, l'idea che le immagini e le strutture imagotipiche non fossero un riflesso o giù di lì, di qualità reali collettive delle comunità in questione ("nazione", "popolo" e così via), ma finzioni, cioè idee che a un certo momento, nel corso della storia, sono emerse nei paesi o nelle comunità interessate. Queste idee sono state in parte tramandate di generazione in generazione e sono state, nel lungo periodo, anche in grado di produrre effetti completamente diversi dalle opinioni e dalle intenzioni di coloro che le hanno prodotte in origine... L'esempio più noto era l'immagine francese della Germania durante il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo che potrebbe avere quale lontano precursore in Madame de Stael… Questa struttura netta e chiara (con il noto contrasto romanticismo/classicismo, Protestantesimo/Cattolicesimo, amore per la libertà/culto dell’autorità, e così via) arrivata fino al nostro secolo, è servita ad alcune persone come una illustrazione della «germanofilia» e ad altre come una ragione per la loro «germanofobia».»
Così, ad esempio, l'idea che le immagini e le strutture imagotipiche non fossero un riflesso o giù di lì, di qualità reali collettive delle comunità in questione ("nazione", "popolo" e così via), ma finzioni, cioè idee che a un certo momento nel corso della storia sono emerse nei paesi o nelle comunità interessate. Queste idee sono state in parte tramandate di generazione in generazione e sono state a lungo anche in grado di produrre effetti completamente diversi dalle opinioni e dalle intenzioni di coloro che le hanno prodotte in origine... L'esempio più noto era l'immagine francese della Germania durante il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo che potrebbe avere quale lontano precursore di Madame de Stael …
Dyserink mira alle fondamenta di qualunque razzismo, pregiudizio e perciò, in questo senso, il modo in cui si vedono i popoli è dovuto all’immagine di caratteri nazionali che sono definiti tali come frutto di costruzioni ideologiche del pensiero umano. Nega perciò il patriottismo, le identità nazionali e il razzismo che per lui derivano unicamente da un’ideologia e non hanno fondamento biologico alcuno: sono solo costruzioni dell’uomo. Anche ogni gerarchia non avrebbe fondamento e sarebbe tutto frutto della costruzione umana. Il compito dell’imagologia non è comunque solo quello di analizzare criticamente images e mirages, ma anche quello di comprendere nuovi modelli d’identità post-nazionali che aiutino a formare una visione del mondo più avanzata. Dyserink continua scrivendo: ì via) arrivata fino al nostro secolo è servita ad alcune persone come una illustrazione della «Quindi dobbiamo concludere che uno dei compiti della imagologia comparativa non consiste solo nell’indagare problemi di identità…Ma l’imagologia dovrebbe anche studiare la possibilità di sviluppare - in letteratura e nei suoi campi circostanti- modelli d’identità post-nazionali…»
Le profonde enunciazioni di Bahá’u’lláh trovano quindi un campo applicativo anche negli studi letterari invitandoci, almeno in questo senso, a costruire immagini che non si frappongano fra gli esseri umani come dei veli, bensì facciano risplendere alta la luce dell’unità.
Questo numero di Opinioni bahá’í presenta due articoli che analizzano delle opere letterarie di segno diverso che possono comunque esemplificare quanto detto finora. Il primo articolo, di Riccardo Ceccherini, analizza un diario di viaggio, un genere che si è imposto nel corso del Novecento, mentre il secondo, di Faezeh Mardani, ci presenta un volume di poesie scritte dalla poetessa Mahvash Sabet durante la sua prigionia per motivi di credo religioso, nel carcere di Evin nei pressi di Teheran.
Riccardo Ceccherini, nell’analizzare il diario di viaggio di Thornton Chase, il primo credente bahá’í americano, che descrive il suo pellegrinaggio a ‘Akka compiuto nel 1907 e durante il quale visitò ‘Abdu’l-Bahá ancora prigioniero delle autorità ottomane, cerca di evidenziare gli aspetti letterari del testo, la scelta delle parole e le scene che sono riportate come dei bozzetti impressionisti, per evidenziarne il valore di trasmissione dell’immagine ai lettori rimasti in patria e che non avevano potuto compiere un simile viaggio. In Galilee, questo è il titolo del diario, costituisce uno dei principali «Pilgrims’ Notes», quei testi che raccontano esperienze di prima mano sui viaggi che ancora potevano considerarsi avventurosi e che, nello stesso articolo, sono sottoposti allo stesso tipo di analisi.
Faezeh Mardani invece apre i nostri occhi a una visione della dura esperienza della poetessa Mahvash Sabet. Dall’introduzione scritta dalla docente dell’Università di Bologna, leggiamo alcune parole: «Nate come tutte le poesie da un intimo bisogno di comunicare, le Poesie dalla prigione di Mahvash Sabet rispondono al suo bisogno di comunicare con il Dio che adora, con i familiari e con gli amici che ama e infine con il mondo dei liberi, che vive al di fuori delle mura della prigione.» La voce narrante di Mahvash si unisce a quella critica di Faezeh che ci accompagna nella comprensione e nella descrizione letteraria di queste poesie per aiutarci a superare anche questa muraglia di discriminazione e negazione di ogni diritto umano.
La rubrica Talenti ospita un grande artista bahá’í del panorama musicale mondiale, Dizzy Gillespie.
Buona lettura!
Poiché nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende.
Bahá’u’lláh (1817-1892), fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ha spronato l’umanità a superare le barriere che si era imposta durante la sua evoluzione dallo stato primitivo a modelli più evoluti. Lo scopo dei Suoi insegnamenti è di giungere a riconoscere la sostanziale unità del genere umano e pervenire quindi a un’organizzazione mondiale pacifica basata su principi di reciproco rispetto, tolleranza e convivenza armoniosa. Gli insegnamenti bahá’í incoraggiano, inoltre, a tenere di massimo conto la cultura e le sue espressioni artistiche perché sono un veicolo per il superamento dei pregiudizi e l’applicazione del principio di unità nella diversità.
Indubbiamente la storia contemporanea offre alla società problemi di non facile soluzione poiché i modelli di relazione fra i popoli del mondo in generale e quelli mediterranei, in particolare e con riferimento a quanto è più vicino a noi, non offrono soluzioni percorribili se non con un netto superamento delle ottiche nazionalistiche. La situazione internazionale è quindi particolarmente drammatica a causa della mancanza di una visione unitaria anche se continuamente invocata. Certamente i paesi e i popoli situati alle due estremità del Mediterraneo hanno sempre avuto due livelli di relazione: uno è pacifico, legato allo scambio commerciale e culturale, all’esportazione di valori di civiltà quali la cultura, la lingua, le scienze teoriche e applicate, le concezioni religiose e l’altro è fatto di lotte per la supremazia sul mare e sulla terra con motivazioni per lo più egemoni ed economiche. La politica, espressione della mentalità dei popoli, non è ancora adeguata a dare delle risposte valide per modificare questa situazione. La miopia imperialista di potenze europee ha creato nel Vicino Oriente stati concettualmente inesistenti nella storia, le cui ricchezze minerarie suscitano appetiti e compromessi che non contemplano il destino delle popolazioni.
Quando si parla di cultura e di letteratura, potremmo trovare una via di conoscenza vitale per la soluzione di questi problemi. Gli scrittori, a qualunque titolo, raccontano e parlano di queste vicende e ci raccontano esperienze che rinnovano il ricordo di prove già vissute anche da noi europei nel corso del Novecento. Sono storie che uniscono alla disperazione la speranza del vivere quotidiano, la ricerca di una giustizia che tarda ed essere prestata e che trova mille giustificazioni alla sua inadempienza perché non ci sono leggi, non ci sono trattati, non ci sono impronte digitali, non ci sono passaporti o carte d’identità, per coprire la vera mancanza: quella della coscienza. Un dizionario, nel riportare la voce «coscienza», chiarisce che essa indica il momento della presenza alla mente della realtà oggettiva e sulla quale, interviene la "consapevolezza" che le dà senso e significato. L’etimologia latina ci spiega che il termine viene da conscire, cioè "essere consapevole, conoscere" e indica la consapevolezza che la persona ha di sé e dei propri contenuti mentali. La consapevolezza è perciò un atteggiamento mentale che è assente in buona parte di noi e che dobbiamo riconquistare. Essa sarà la via per una nuova mentalità che produrrà una moderna politica per soluzioni concrete ai disastri contemporanei provocati da una visione materialista e liberista della società. Il frutto principale della letteratura sia essa un romanzo, una raccolta di poesie, un diario, un trattato di storia, un articolo di giornale, o qualsiasi altra cosa che ci trasmetta non solo l’informazione ma anche il contenuto e l’invito a riflettere, consiste nella maturazione di una visione unitaria del mondo che, oltrepassando mode New-Age o pseudo-spiritualiste, inizi a costruire rapporti efficaci e solidi fra i popoli. La letteratura che ha un aspetto dinamico, perché specchio del passato/presente è anche anticipatrice di quello che accadrà in futuro. Essa produce images, visioni cioè dell’alterità che non sempre corrispondono alla realtà oggettiva bensì sono rappresentazioni soggettive che sono acquisite dalla maggior parte dei lettori. Tali images costituiscono perciò il modo di percepire e apprezzare o denigrare la diversità altrui creando anche dei pregiudizi, che nell’ambito letterario sono chiamati mirages, alla base dei conflitti oggi esistenti. La letteratura, insieme alle altre importanti realizzazioni dello spirito umano, può riuscire ad abbattere queste barriere. Lo studioso di origine belga Hugo Dyserinck , fondatore della scuola di Aquisgrana, sostiene che il modo in cui si vedono i popoli rimanda a caratteri nazionali che esistono solo in quanto costruzioni ideologiche e che l’immagine sostituisce la realtà, predominando su di essa. Dyserinck scrive a questo proposito: «Da qui, ad esempio, l'idea che le immagini e le strutture imagotipiche non fossero un riflesso o giù di lì, di qualità reali collettive delle comunità in questione ("nazione", "popolo" e così via), ma finzioni, cioè idee che a un certo momento, nel corso della storia, sono emerse nei paesi o nelle comunità interessate. Queste idee sono state in parte tramandate di generazione in generazione e sono state, nel lungo periodo, anche in grado di produrre effetti completamente diversi dalle opinioni e dalle intenzioni di coloro che le hanno prodotte in origine... L'esempio più noto era l'immagine francese della Germania durante il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo che potrebbe avere quale lontano precursore in Madame de Stael… Questa struttura netta e chiara (con il noto contrasto romanticismo/classicismo, Protestantesimo/Cattolicesimo, amore per la libertà/culto dell’autorità, e così via) arrivata fino al nostro secolo, è servita ad alcune persone come una illustrazione della «germanofilia» e ad altre come una ragione per la loro «germanofobia».»
Così, ad esempio, l'idea che le immagini e le strutture imagotipiche non fossero un riflesso o giù di lì, di qualità reali collettive delle comunità in questione ("nazione", "popolo" e così via), ma finzioni, cioè idee che a un certo momento nel corso della storia sono emerse nei paesi o nelle comunità interessate. Queste idee sono state in parte tramandate di generazione in generazione e sono state a lungo anche in grado di produrre effetti completamente diversi dalle opinioni e dalle intenzioni di coloro che le hanno prodotte in origine... L'esempio più noto era l'immagine francese della Germania durante il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo che potrebbe avere quale lontano precursore di Madame de Stael …
Dyserink mira alle fondamenta di qualunque razzismo, pregiudizio e perciò, in questo senso, il modo in cui si vedono i popoli è dovuto all’immagine di caratteri nazionali che sono definiti tali come frutto di costruzioni ideologiche del pensiero umano. Nega perciò il patriottismo, le identità nazionali e il razzismo che per lui derivano unicamente da un’ideologia e non hanno fondamento biologico alcuno: sono solo costruzioni dell’uomo. Anche ogni gerarchia non avrebbe fondamento e sarebbe tutto frutto della costruzione umana. Il compito dell’imagologia non è comunque solo quello di analizzare criticamente images e mirages, ma anche quello di comprendere nuovi modelli d’identità post-nazionali che aiutino a formare una visione del mondo più avanzata. Dyserink continua scrivendo: ì via) arrivata fino al nostro secolo è servita ad alcune persone come una illustrazione della «Quindi dobbiamo concludere che uno dei compiti della imagologia comparativa non consiste solo nell’indagare problemi di identità…Ma l’imagologia dovrebbe anche studiare la possibilità di sviluppare - in letteratura e nei suoi campi circostanti- modelli d’identità post-nazionali…»
Le profonde enunciazioni di Bahá’u’lláh trovano quindi un campo applicativo anche negli studi letterari invitandoci, almeno in questo senso, a costruire immagini che non si frappongano fra gli esseri umani come dei veli, bensì facciano risplendere alta la luce dell’unità.
Questo numero di Opinioni bahá’í presenta due articoli che analizzano delle opere letterarie di segno diverso che possono comunque esemplificare quanto detto finora. Il primo articolo, di Riccardo Ceccherini, analizza un diario di viaggio, un genere che si è imposto nel corso del Novecento, mentre il secondo, di Faezeh Mardani, ci presenta un volume di poesie scritte dalla poetessa Mahvash Sabet durante la sua prigionia per motivi di credo religioso, nel carcere di Evin nei pressi di Teheran.
Riccardo Ceccherini, nell’analizzare il diario di viaggio di Thornton Chase, il primo credente bahá’í americano, che descrive il suo pellegrinaggio a ‘Akka compiuto nel 1907 e durante il quale visitò ‘Abdu’l-Bahá ancora prigioniero delle autorità ottomane, cerca di evidenziare gli aspetti letterari del testo, la scelta delle parole e le scene che sono riportate come dei bozzetti impressionisti, per evidenziarne il valore di trasmissione dell’immagine ai lettori rimasti in patria e che non avevano potuto compiere un simile viaggio. In Galilee, questo è il titolo del diario, costituisce uno dei principali «Pilgrims’ Notes», quei testi che raccontano esperienze di prima mano sui viaggi che ancora potevano considerarsi avventurosi e che, nello stesso articolo, sono sottoposti allo stesso tipo di analisi.
Faezeh Mardani invece apre i nostri occhi a una visione della dura esperienza della poetessa Mahvash Sabet. Dall’introduzione scritta dalla docente dell’Università di Bologna, leggiamo alcune parole: «Nate come tutte le poesie da un intimo bisogno di comunicare, le Poesie dalla prigione di Mahvash Sabet rispondono al suo bisogno di comunicare con il Dio che adora, con i familiari e con gli amici che ama e infine con il mondo dei liberi, che vive al di fuori delle mura della prigione.» La voce narrante di Mahvash si unisce a quella critica di Faezeh che ci accompagna nella comprensione e nella descrizione letteraria di queste poesie per aiutarci a superare anche questa muraglia di discriminazione e negazione di ogni diritto umano.
La rubrica Talenti ospita un grande artista bahá’í del panorama musicale mondiale, Dizzy Gillespie.
Buona lettura!